Osteopatia: approccio globale e locale

In questo terzo episodio della serie “Perchè la nostra osteopatia è più efficace” Dario Vitale ci spiega il concetto di “approccio globale e approccio locale”
Qui sotto il testo dell’intervista per chi preferisce leggere:

D: in un precedente podcast abbiamo parlato del concetto di locale e globale, e dell’importanza che riveste nel vostro approccio; ci vuoi spiegare bene i significati di questi due termini?
R: Cominciamo con il GLOBALE.
Molti degli equivoci e delle ambiguità di cui si nutre la moderna osteopatia nascono dal fraintendimento dei termini di globale e globalità, troppo spesso abusati e malintesi. Infatti troppo spesso in ambito osteopatico vige l’idea che, per ogni persona che passi nei nostri studi, si debba tener conto, sempre e necessariamente, oltre che della sua biomeccanica, inclusa quella stomatognatica, del funzionamento dei visceri toracici e addominali, della sua alimentazione e del suo metabolismo, del suo ambiente familiare, del suo habitus caratteriale.
E il problema vero è che non si tratta solo di tenerne conto ma, secondo questa visione, si deve essere anche in grado di interferire (“osteopaticamente”) con gli strumenti dell’osteopatia in ognuno di questi ambiti, se necessario…
Occorrerebbe una competenza diagnostica e tecnica che non si trova neanche in più medici messi insieme, (che non esiste)
D: Ma questa è la tuttologia di cui abbiamo gia parlato in un precedente podcast se ricordo bene
R: Certo, a questa falsa visione globale “tuttologica” si contrappone la nostra visione globale “vera”, sistemica, in cui vengono studiate, valutate e, quando necessarie, normalizzate le relazioni tra sottosistemi.
Come quando una caviglia malfunzionante attraverso la relazione della miofascia che si è troppo retratta, trasmette un sovraccarico meccanico a livello del bacino; o un viscere patologico, attraverso un surplus di segnali che arrivano ai relativi segmenti midollari, mette in disfunzione le strutture somatiche, vertebrali, comandate da quei segmenti.
La visione sistemica si traduce in un approccio globale vero ed è complementare, sul versante medico, alla visione analitica che produce un approccio terapeutico sintomatico.
Quindi se ho capito bene non siete contrari all’approccio sintomatico?
Lungi dall’essere antitetici i due approcci, sistemico ed analitico, cioè sintomatico sono assolutamente complementari. In una situazione dolorosa acuta, se non è possibile fare altro, ben venga un farmaco antidolorifico. I farmaci antidolorifici, tanto stigmatizzati da una certa visione purista che spesso va a braccetto con quella “falsa globalità” di cui parlavamo, sono stati una delle più grandi scoperte della scienza medica, perché prima si moriva letteralmente di dolore.
D: Ma per approccio analitico intendiamo l’approccio locale?
R: No. Quello analitico, cioè sintomatico, non è l’approccio locale che abbiamo citato insieme al globale.
Se in una visione globale noi mettiamo in relazione zone distanti, la caviglia con il bacino, un viscere con la colonna, in quella locale noi guardiamo alla zona che esprime il sintomo, ma non per essere sintomatici, come in un approccio farmacologico. Quando siamo locali, lo siamo sempre per stabilire una relazione, stavolta non tra zone diverse, ma tra il sintomo e la disfunzione che lo produce, per esempio tra una radicolite e la perdita di mobilità di una vertebra, o tra una tendinite ed il muscolo cui appartiene il tendine, che sarà retratto (quindi in quella disfunzione che noi definiamo miofasciale).
Quindi la nostra attenzione, diagnostica o terapeutica, è sempre puntata sulla perdita di mobilità, sulla disfunzione.
In osteopatia la maggioranza degli altri approcci peccano o per essere solo (troppo) locali, quelli che si limitano a manipolare la zona che esprime il sintomo, o solo (troppo) globali, quando si dedicano a sottosistemi troppo lontani nella catena di relazioni disfunzionali, per esempio che fanno il cranio in una sciatica.
D: Ma in una pratica di studio questo cosa comporta?
R: Questi concetti sono fondamentali per scegliere una strategia terapeutica.
Se la situazione è acuta ma sporadica, sarò prevalentemente locale.
Se la sintomatologia è ricorrente dovrò valutare la situazione da un punto di vista sistemico, perché è l’equilibrio disfunzionale del mio sistema biomeccanico a riproporre il sintomo.
Se è persistente dovremo tenere da conto in egual misura sia il locale che il globale,
lavorando su tutti e due i fronti.
Rimarremo comunque ben consapevoli che su un equilibrio biomeccanico più fragile possono pesare in maniera significativa una patologia viscerale, stili di vita incongrui, habitus psicoemotivi, e ne dovremo tener conto sia nel contratto terapeutico che va stipulato con ogni paziente, sia per consigliarlo ed indirizzarlo alle diverse competenze.
D: Allora se ho capito bene invece di fare tuttologia voi vi preoccupate di indirizzare eventualmente il paziente a professionisti con altre competenze?
R: Certamente sì.Resta nostro onere, come osteopati, quello di migliorare il parametro meccanico, quando è significativo per produrre il sintomo.
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OstEOPatia: Osteopatia+Approccio Miofasciale Osteopatico

In questa puntata Dario Vitale spiega perché la sinergia tra Osteopatia e Approccio Miofasciale Osteopatico (AMO) porta ad una diagnosi e una terapia più efficace in molte delle situazioni che si presentano normalmente nello studio di un Osteopata.
Qui sotto il testo dell’intervista per chi preferisce leggere:

D: Cosa intendiamo per problemi di origine meccanica e perché la nostra ostEOPatia è più efficace nel trattarli?
R: Quando parliamo di problemi di origine meccanica, ci riferiamo alla stragrande maggioranza delle richieste con cui un paziente arriva nello studio di un osteopata: lombalgie, cervicalgie, periartriti di spalla, coxartrosi ecc…
Siamo più efficaci perchè nel nostro lavoro teniamo conto di tutti e tre i parametri grazie a cui questi problemi si sviluppano e si mantengono nel tempo: quello articolare, quello miofasciale, quello propriocettivo
D: Mi puoi far capire meglio di cosa stiamo parlando?
R: In una visione classica, l’osteopatia si occupa delle perdite di mobilità articolari, definite disfunzioni, demandando le problematiche posturali al mezieres ed alle metodiche derivate.Queste ultime a loro volta si occupano della forma, partendo dall’assunto “buona forma uguale a buona funzione”. Entrambe, sia l’osteopatia che il mezieres, trascurano completamente il terzo parametro, vale a dire la propriocezione.
In questo modo chi si rivolge ad un osteopata mettiamo per una sciatica, in poche sedute (se l’osteopata è un bravo strutturalista) viene portato fuori dalla fase acuta.
Poi, se lo stesso osteopata stima che ci sia un problema posturale, manda il paziente ad un mezierista che tratterà il vestito miofasciale rendendolo, diciamo così, più comodo da abitare.
Purtroppo alla base ci saranno, sempre ed obbligatoriamente, degli schemi motori falsati, che senza un lavoro adeguato riproporranno le stesse situazioni.
D: Voi di EOP come avete risolto il problema?
R: Operando prima di tutto un grande rivolgimento concettuale. Che è nato dall’esperienza lavorativa di alcuni di noi, che erano sia osteopati, sia mezieristi, e già formati anche nel lavoro propriocettivo, grazie all’insegnamento antesignano di Jacky Renauld.
L’efficacia di questo approccio integrato l’abbiamo trasferito nella nostra formazione, per cui noi adesso consideriamo come disfunzioni, vale a dire perdite di movimento, sia i cambiamenti della forma sia le alterazioni dello schema motorio che comunque generano perdite di mobilità. I cambiamenti della forma li definiamo disfunzioni miofasciali, le alterazioni dello schema motorio disfunzioni propriocettive.
E in questa visione tutti questi tipi sono disfunzioni osteopatiche che entrano a pieno titolo nelle competenze dei nostri osteopati, che formiamo, oltre che nell’osteopatia strutturale classica, sia nel lavoro della miofascia che in quello propriocettivo.
Solo lavorando in questo modo, l’hardware – vale a dire le disfunzioni articolari e le retrazioni della miofascia – ed il software, gli schemi motori disfunzionali, si ottengono risultati esaustivi e duraturi.
D: Quindi qual’è la differenza rispetto all’approccio al paziente dell’osteopatia classica?
R: In osteopatia classica vige un assunto che, paradossalmente, allinea questa visione a quella che impera nella medicina di oggi, che vede il paziente completamente passivo nel proprio percorso terapeutico.
L’osteopata “mette le mani” su un soggetto che, senza alcuna partecipazione attiva, guarirà, così come quando prende un qualsiasi farmaco.
Noi spesso ci troviamo confrontati a situazioni che si sono strutturate nei decenni, sviluppando reti di circoli viziosi che, senza la partecipazione attiva del paziente, sarebbe impossibile rompere.
Per questo, quasi fin da subito, addestriamo il paziente a dei lavori da eseguire da solo che rinforzino quanto facciamo insieme in studio ritornando all’idea che ha improntato la medicina fin dagli albori: è il malato che deve fare il proprio percorso di guarigione, chi lo cura è solo una guida.
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Il concetto IPO-IPER

In questa puntata Dario Vitale spiega uno dei concetti più importanti della nostra formazione in ostEOPatia: IPO-IPER.
Qui sotto il testo dell’intervista per chi preferisce leggere:
D: perchè scegliere EOP?
R: Perchè siamo più efficaci, soprattutto nella gestione dei problemi persistenti e ricorrenti, dal momento che abbiamo integrato l’osteopatia classica con un approccio miofasciale, che è soltanto nostro.
E non si parla solo di tecniche, ma prima delle tecniche vengono i concetti
Infatti qualsiasi prassi tecnica rischia di essere inefficace se non è supportata da concetti saldi, indispensabili non solo per la comprensione dei vari problemi (diagnosi), ma per scegliere poi gli strumenti tecnici più adatti (parliamo delle strategie di intervento).
Avere concetti forti è un nostro vanto e, per quanto conosco gli ambiti dell’osteopatia odierna, molti di questi concetti sono una nostra peculiarità, anche perchè derivano dalla nostra evoluzione nel considerare i temi della Biomeccanica.
Parliamo, prima di tutto di IPO/IPER: un concetto cardine di tutto l’approccio strutturale, di cui – come dicevo – trovo in giro, sul web e negli ambiti osteopatici, solo pochi cenni ed il più spesso malintesi.
Con IPO noi definiamo la perdita di mobilità, la disfunzione, che inevitabilmente genererà, per compenso, un sovraccarico meccanico, che definiamo IPER, che causerà su una data zona alterazioni strutturali e/o dolore.
La zona in sovraccarico non necessariamente esprime un sintomo, ma sempre sarà in perdita di mobilità, a breve termine su un riflesso antalgico a priori, poi attraverso modificazioni strutturali.
È quello che spiego tutti i giorni ai miei pazienti: soffriamo per cause meccaniche nelle zone che lavorano troppo perché si fanno carico di oneri di movimento che toccherebbero ad altre zone.
Così la lombare diventa dolorosa quando si assume parte del lavoro che una zona dorsale rigida non svolge più; un’anca soffre perché subisce eccessive sollecitazioni meccaniche per colpa di una zona lombare che non ammortizza più bene; un ginocchio protesta perché il sistema ammortizzante del piede, in crisi, manda troppe sollecitazioni all’articolazione femoro-tibiale; e così via.
Quindi è sempre l’eccesso di sollecitazioni meccaniche, localizzato in una certa zona da un cattivo equilibrio biomeccanico che, anche senza che si manifesti alcun dolore, di volta in volta produrrà artrosi, discopatie, tendinopatie, vale a dire quei fenomeni di modificazione strutturale che dipendono da degenerazione dei connettivi specializzati.
Anche la zona sottoposta a stress meccanico, o per le modificazioni strutturali che subisce – che sono sempre nel senso della fibrosi, dell’addensamento tessutale – o per un maggior tono riflesso dei muscoli circostanti, ben presto andrà anch’essa in perdita di mobilità, nel nostro gergo diremo chè e diventato IPO di IPER.
Questo genera dei circoli viziosi, che si chiudono o sulla relazione meccanica,- dove per esempio una cartilagine degenerata subirà maggiormente le sollecitazioni meccaniche normali per una cartilagine sana- o sulla relazione neurologica perchè il sovraccarico meccanico manda al midollo segnali anomali in entrata, cui il midollo risponde con segnali disfunzionali in uscita, cosicché la disregolazione del controllo nervoso va sempre più a peggiorare.
D: questa che è una situazione abbastanza diffusa è sempre sintomatica?
R: No, fortunatamente il nostro sistema biomeccanico ha dei margini di compenso molto ampi, per cui possiamo funzionare male a lungo senza soffrire.
Il problema è che il gioco dei circoli viziosi restringe sempre più le possibilità di malfunzionare senza dolore, e quando in una data zona – articolare, legamentosa, tendinea – per somma di microtraumi, si supererà la soglia del dolore, in questa zona si esprimerà una sintomatologia dolorosa.
La comparsa del dolore potenzia i circoli viziosi, modifica in peggio gli schemi motori e, con il ripetersi degli episodi acuti, la situazione potrà diventare ricorrente e/o persistente.
D: cosa fa l’osteopatia in queste situazioni:
R: Nel nostro approccio osteopatico, ci occuperemo della zona che subisce il sovraccarico, non perché il nostro intervento sia sintomatico ma perché quella stessa zona sarà in perdita di mobilità, anch’essa IPO, o a causa di un riflesso antalgico o a causa delle modificazioni strutturali cui è andata incontro; inoltre dovremo lavorare sulla zona IPO primaria, vale a dire quella la cui diminuzione di movimento ha causato il sovraccarico meccanico a distanza; e non dovremo dimenticare la via di relazione, lungo le fasce o tramite il sistema nervoso, attraverso cui si stabilisce la comunicazione disfunzionale tra zone IPO e zone IPER.
Quindi noi saremo sempre: globali, quando trattiamo le IPO a distanza, locali quando trattiamo le IPO della zona che esprime il sintomo, e ci occuperemo delle vie di comunicazione, meccanica e neurologica, normalizzandole.
Di questo principio che è un’altra pietra angolare del nostro approccio, LOCALE e GLOBALE, parleremo in un prossimo podcast.
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Tempo di diplomi anche a Roma

Domenica 6 Novembre a Roma, presso il Polo didattico di piazza Oderisi da Pordenone ha avuto luogo la consegna dei C.O. (Certificato di Osteopatia strutturale) e degli attestati di AMO (Approccio Miofasciale Osteopatico). Nelle foto docenti e allievi della scuola.

Allievi del 4° anno con il C.O.
Allievi con attestato AMO
Allievi con attestato AMO
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Consegna C.O. e attestati AMO 23 Ottobre 2022

Domenica 23 Ottobre a Napoli, presso FOQUS, si è svolta la consegna degli attestati di Approccio Miofasciale Osteopatico e dei Certficati di Osteopatia strutturale. nelle foto gli allievi con docenti e assistenti.
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Le competenze dell’osteopata e l’insegnamento dell’osteopatia

lezioni Aperte
Nella seconda puntata del nostro podcast Dario Vitale parla delle competenze dell’osteopata e di come si dovrebbe insegnare l’osteopatia secondo l’approccio fondamentalmente pratico/pragmatico della nostra scuola.

D: Quali sono le competenze di un osteopata?
R: Sui limiti e sulle competenze dell’osteopatia se ne discute dai tempi di Still, con visioni opposte che vanno dalla biomeccanica di Littlejhon e Werham, passando per la sfera viscerale di Weishenck e Barral, fino alla biodinamica di Rollin Becker ed J. Jealous.
Fino ad oggi ogni professionista è stato libero di scegliersi ed approfondire gli strumenti che gli erano più congeniali, secondo le proprie attitudini, l’insegnamento che aveva ricevuto, seguendo un percorso personale di evoluzione personale.
Libertà che avevano anche i medici e che purtroppo stanno perdendo sotto il tallone dell’EvidenceBasedMedicine, la cosiddetta medicina basata sulle evidenze, che invece di produrre una continua e costruttiva revisione critica delle metodiche terapeutiche ha prodotto dei protocolli da cui nessuno osa più uscire per sperimentare strade terapeutiche nuove, alternative.
Per questo c’è da stare attenti quando si sente invocare un’EvidenceBasedOsteopathy, anche perché sicuramente l’avvento di un’osteopatia universitaria, la mutilerà di estese parti del suo corpus, quali visceri e cranio.
D: Si, ma di fatto di che si occupa?
R: L’osteopatia si occupa in senso lato del movimento, più nello specifico delle diminuzioni di movimento che possono subire tutte le strutture “mobili” del nostro organismo e che si ripercuotono negativamente sul suo funzionamento e sul suo stato di salute.
D: Di che tipi di movimento parliamo?
R: Quando si dice “movimento”, si pensa ai muscoli, alle articolazioni, forse a certi visceri come cuore, polmoni, visceri addominali. Ma il movimento, per noi come per la medicina ufficiale, si estende fino alle cellule e alle strutture ultracellulari. Ma mentre in medicina, le “patologie del movimento” esistono a pieno titolo solo in senso ortopedico o neurologico, per noi qualsiasi struttura perda movimento è patologica.
D: Prima hai citato varie visioni, spesso antitetiche, che generano diversi approcci tecnici. A quale visione aderisce la vostra scuola?
R: La nostra scelta è quella di una osteopatia strutturalista, in accordo non solo a quanto tramandatoci dai nostri Maestri, ma anche alla richiesta della stragrande maggioranza dei pazienti che si rivolgono ad un osteopata.
Scegliere di trattare certi argomenti escludendone altri, non è un parametro di parzialità o di ristrettezza di vedute, né vuole implicare peraltro un giudizio assoluto di valore.
Al contrario risponde all’esigenza di sfuggire da una trappola in cui si sta sempre più infilando la moderna osteopatia, quella della “tuttologia”. Sempre più vediamo gli osteopati discorrere da una parte di argomenti appannaggio della medicina classica quali l’immunologia e l’endocrinologia, secondo un totalmente frainteso concetto di globalità; dall’altra di temi che sconfinano nell’esoterico, con flussi e maree.
D: Allora secondo te quale deve essere un piano di studi “realistico”?
R: C’è un paradosso dietro le offerte formative incredibilmente vaste, che spesso troviamo sul mercato. Facciamo l’esempio di pediatria, materia che appartiene a molti programmi delle varie formazioni in osteopatia.
Le formazioni part-time in media prevedono un monte ore di 200 -250 ore per anno di cui, come è normale in una formazione prettamente pratica, almeno due terzi dedicati alle esercitazioni pratiche; per erogare le nozioni teoriche rimangono 70-80 ore per anno, da dedicare prima di tutto all’anatomia, alla biomeccanica,alla neurologia, alla radiologia,alla clinica e alla diagnostica differenziale per ognuno dei sistemi previsti dal piano di studi.
Se solo un corso universitario di pediatria prevede decine di ore lezioni frontali,necessarie del resto per dare ad un allievo osteopata, che vorrà curare dei neonati, i rudimenti di una fisiopatologia e di una diagnostica differenziale alquanto diversi da quelli di un’adulto, come farle entrare nelle nostre 200 ore. Stesso discorso per endocrinologia, per ginecologia, gastroenterologia, otorinolaringoiatria, per citare le materie più gettonate nei vari piani di studi.
Queste considerazioni ci hanno portato a ridurre drasticamente le materie previste dalla nostra offerta formativa che pretende appunto di formare, non di “informare”, come succede inevitabilmente quando in un piano di studi di osteopatia troviamo non solo le succitate materie ma anche l’embriologia, cito dal web, la psicologia, l’oculistica, la metodologia della ricerca, l’uro-nefrologia, l’odontoiatria e chi più ne ha più ne metta. Sono specchietti per le allodole per chi, inesperto, sceglierà istintivamente un’offerta più ricca, più globale.
D: Ma allora cosa può fare un osteopata se vuole occuparsi di pediatria o di ginecologia?
R: Il mio consiglio è di fare prima una scuola come la nostra, che dia dei concetti saldi, e delle competenze per affrontare la grande maggioranza dei problemi che affliggono el persone che si rivolgono all’osteopatia. Poi trovare delle specializzazioni serie negli ambiti desiderati.

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Incontra EOP. Il nostro podcast!

OSTEOPATIA: COASA SUCCEDE CON IL RICONOSCIMENTO

La nostra scuola ha aperto un podcast per parlare di osteopatia e delle storie di chi la pratica e la insegna con passione e dedizione.
Questo è il primo episodio in cui Dario Vitale parla delle problematiche connesse al riconoscimento dell’osteopatia in Italia

D: Adesso che l’osteopatia è stata riconosciuta come materia sanitaria, quali sono i pro e i contro di questo riconoscimento?
R: Le criticità, dal punto di vista dell’ordinamento legislativo, in merito all’attuale situazione dell’osteopatia in italia nascono fin dall’inizio, cioè dall’articolo 1 del D.P.R. 131 del 7 luglio 2021 in cui viene l’osteopata viene individuato come figura sanitaria e ne viene tracciato il profilo professionale.
In questo primo articolo, dei sei che compongono lo scarno decreto, l’osteopata – dopo una laurea triennale – si occuperà di prevenzione e mantenimento della salute trattando disfunzioni non riconducibili – mai, per carità – a patologie, nell’ambito dell’apparato muscolo scheletrico.
D: Se ho ben capito l’osteopata, secondo questo articolo, non si occuperebbe di curare patologie…
R: Proprio così, la norma prevede che l’osteopata si possa occupare solo di prevenzione e non di curare patologie; quindi avrà limiti di competenza inferiori ad altre lauree sanitarie triennali come quelle di un fisioterapista, di uno psicomotricista, di un podologo, che curano nei loro ambiti le relative patologie.
D: Resta da capire chi si rivolgerebbe ad un figura del genere, e per che motivo.
R: Questo è un capolavoro di ambiguità e di equilibrismo sociopolitico, progettato da una parte per non scontentare ulteriormente i fisioterapisti, già vessati dai famigerati elenchi speciali, in cui sono rientrati “dalla finestra” tutti gli abusivi contro cui per anni i poveri fisio avevano invocato la creazione di un albo.
Dall’altra probabilmente è stato un escamotage per non essere obbligati ad inserire gli osteopati nel SSN.
D : Come si prevede la formazione universitaria?
R: Le criticità continuano, anzi forse aumentano passando alla formazione universitaria dove, anche se non è stato ancora promulgato il relativo decreto attuativo, la scarsità della preparazione pratica che affligge le branche mediche, sarà ancora più evidente. Se per esempio ci sono fisioterapisti che lavorano ed insegnano negli istituti universitari, e reparti dove gli allievi fisioterapisti fanno pratica con dei veri pazienti, nel pubblico non ci sono né osteopati né relativi pazienti. Quindi non si capisce come e dove gli allievi osteopati potranno fare un minimo di pratica.
D: E il riconoscimento di quelli che attualmente si dicono osteopati?
R: Anche per il riconoscimento del pregresso non c’è ancora un decreto attuativo, ma quello che è sicuro è che l’Università per dare diplomi di laurea pretenderà un corrispettivo economico, tanto maggiore, quanto più scarsi saranno i titoli di chi lo richiede. E per titoli si intende CFU, Crediti Formativi Universitari, appannaggio unicamente delle università pertanto non attribuibili da alcuna formazione privata non universitaria.
Vale a dire che un fisioterapista laureato avrà un percorso più breve – e pagherà all’università meno soldi – di uno laureato in scienze motorie, per ottenere una seconda laurea.
D: Ma perchè un fisioterapista dovrebbe spendere soldi e tempo per acquisire un titolo che ormai è meno qualificante di quello che già ha?
R: Infatti non penso che un fisioterapista – cui una buona formazione ha già dato gli strumenti dell’osteopatia, e lavora in maniera soddisfacente, abbia voglia di tornare all’università per ottenere un titolo a questo punto meno qualificante di quello che già possiede.
D: In tutto questo bailamme che fine faranno le associazioni di categoria tipo ROI?
R: Che dire? Se ne contavano a decine, oltre al famoso ROI, prima di incassare la sonora sconfitta di un decreto che è passato sopra a tutte le loro richieste, mortificando un’intera categoria.
Facendo buon viso a cattivo gioco hanno innalzato dopo questo pseudo riconoscimento canti di vittoria…scompariranno tutte nell’oblio una volta istituito l’albo.

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Osteopatia Lezioni Aperte a Napoli

Ricordiamo a tutti i laureati e allievi di medicina e fisioterapia che desiderano verificare la qualità della nostra formazione, che nei giorni
18 e 19 GIUGNO a NAPOLI
possono aderire alla nostra iniziativa
“Lezioni aperte” partecipando alle lezioni su
BACINO e ARTO INFERIORE
Per prenotarsi contattare la nostra segreteria al
331 978 69 52
 
*Ai partecipanti sarà rilasciato un attestato.
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Lezioni aperte a Napoli

OSTEOPATIA LEZIONI APERTE*
Ricordiamo a tutti i laureati e allievi di medicina e fisioterapia che desiderano verificare la qualità della nostra formazione, che nei giorni
21 e 22 MAGGIO a NAPOLI
possono aderire alla nostra iniziativa “Lezioni aperte” partecipando alle lezioni su
PIEDE
Per prenotarsi contattare la nostra segreteria al
331 978 69 52

*Ai partecipanti sarà rilasciato un attestato.

 

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Lezioni aperte a Roma Aprile 2022

OSTEOPATIA LEZIONI APERTE*
Ricordiamo a tutti i laureati e allievi di medicina e fisioterapia che desiderano verificare la qualità della nostra formazione, che nei giorni
23 e 24 Aprile a ROMA
possono aderire alla nostra iniziativa “Lezioni aperte” partecipando alle lezioni su
BACINO e ARTO INFERIORE

Per prenotarsi contattare la nostra segreteria al
331 978 69 52

*Ai partecipanti sarà rilasciato un attestato.

 

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