Se c’è una costante che ci ha caratterizzato nei venti e passa anni che esiste la scuola EOP, è stata la continua evoluzione della nostra offerta formativa che, partita con dei programmi più o meno simili a quelli di tutte le altre scuole, ne ha preso via via sempre più le distanze, tenendo fede a due principi: efficacia ed autenticità.
efficacia e autenticità
Efficacia, quella degli strumenti che noi – e prima di noi i nostri maestri – usiamo in studio; autenticità nell’insegnare solo quello che è effettivamente funzionale alla pratica di studio, quello che pratichiamo veramente.
Abbiamo così cominciato ad eliminare tutte quelle materie delle quali nello spazio di una formazione part time – sempre troppo stretto per passare esaustivamente un mestiere, una manualità – era possibile dare niente di più che delle “infarinature”.
no informazione ma formazione
Parliamo per esempio dell’embriologia, della ginecologia, della pediatria, materie che all’università hanno corsi della durata di un centinaio di ore ognuno, impossibili da inserire in maniera minimamente sufficiente nel tempo di un part time. E le abbiamo tagliate a rischio di presentare un programma “povero” a confronto di quelli che girano sul web, dove in duecento ore viene trattato tutto lo scibile medico e oltre.
dare un senso a ciò che si studia
Noi abbiamo scelto di approfondire in maniera mirata le “nostre” scienze di base: l’anatomia, la biomeccanica, la diagnostica differenziale, la neurologia, la radiologia.
Per l’anatomia abbiamo coniato il termine “anatomia osteopatica”, che si differenzia dall’anatomia descrittiva che comunemente si studia all’università, perché pone una maggiore attenzione sui dettagli per noi osteopati più significativi: si studia un legamento piuttosto che un altro, perché tale legamento per esempio è legato ad un dato sintomo; così per un tendine; i muscoli sono piuttosto considerati nelle loro serie funzionali, le “catene”, e non come una serie interminabile di origini ed inserzioni. Solo dando un senso clinico o funzionale all’anatomia se ne fa una materia “viva”, altrimenti si studia e si dimentica a ripetizione, esperienza probabilmente già nota a chi proviene da un percorso universitario. L’anatomia prevede fin da subito una parte pratica, l’anatomia palpatoria, che per noi rapidamente diventa una palpazione in movimento, ed è strumento di diagnosi.
le scienze di base
La biomeccanica si compone di un capitolo che riguarda la biomeccanica locale, ed è quella del Kapandji per intenderci, ma anche questa acquisisce un senso nella cosiddetta palpazione in movimento, pratica in cui si testa il funzionamento di ogni distretto articolare. Studiamo poi la biomeccanica generale in cui le articolazioni si mettono in relazione in sottosistemi, quello del “portale degli arti inferiori”, il rachide con le “meccaniche di Littlejhon”, spalla e cingolo, attraverso i concetti di “gioco dei compensi”, di “schemi funzionali e disfunzionali”, potenti strumenti di comprensione e diagnosi.
Anche la diagnostica differenziale prevede due parti. La diagnostica differenziale generale che dovrà dirci se una sintomatologia è di competenza osteopatica, ovvero se a produrre un determinato sintomo concorre un importante parametro meccanico. La diagnostica differenziale osteopatica poi che deve rispondere a due quesiti: qual è il tessuto che soffre? e quali zone sono in relazione disfunzionale con quella che esprime il sintomo? Due domande chiave per il successivo progetto terapeutico.
Neurologia e radiologia pure sono corredate dell’appellativo “osteopatiche”, per sottolineare che anche qua privilegiamo concetti e nozioni, conoscenze e competenze, che hanno un immediato riscontro nella nostra pratica clinica.
E’ stato un lavoro di scrematura non breve e non semplice, ma ci ha consentito di mettere a fuoco quello che è il bagaglio essenziale che ogni osteopata professionista deve avere e che, soprattutto, può essere efficacemente insegnato nel tempo a disposizione.
la pratica
Il nostro è un mestiere essenzialmente pratico, ed è evidentemente la pratica a fare la parte del leone nelle ore di lezione frontale; sempre più ci stiamo orientando ad erogare le lezioni teoriche su supporti informatici – filmati, slide con commento parlato – per liberare sempre più tempo da dedicare alla pratica. Solo nella ripetizione il gesto tecnico si affina e trova la sua efficacia.
Nella scelta delle tecniche da insegnare abbiamo seguito gli stessi principi di efficacia ed autenticità, per dare ad ogni allievo una “valigetta” con non molti attrezzi, ma esaustivi e soprattutto bene usati.
Anche qua c’è stata una evoluzione/rivoluzione rispetto all’insegnamento classico perchè rapidamente ci siamo resi conto che per essere vincenti – come postulato dai nostri maestri, Alain Bernard e Jacky Renauld, e come poi sperimentato da noi stessi – c’era bisogno di contaminare l’osteopatia classica con il lavoro miofasciale.
Quindi abbiamo introdotto questa metodologia nel nostro insegnamento chiamandola prima mezieres, poi ci siamo resi conto che era un termine inesatto, perchè già quello che a suo tempo ci è stato insegnato si discostava nettamente da quello che viene comunemente insegnato come metodo mezieres.
Per sgombrare il campo da ogni ambiguità lo abbiamo definito allora Approccio Miofasciale Osteopatico, e ne insegnamo le basi fin dal primo anno.
lavorare presto
Uno dei principi informatori della nostra didattica è quello di mettere ogni allievo in condizioni di affrontare al più presto un certo numero di situazioni tra quelle che più comunemente si presentano in studio; così si evolve velocemente in un mestiere pratico.
A questo scopo il primo anno comprende, oltre all’Approccio Miofasciale, il Trattamento Generale Osteopatico di John Wernham e, altro insegnamento inusuale sia per l’osteopatia sia che per le formazioni in tecniche posturali, al primo anno si studiano anche i concetti e le tecniche della propriocezione.
Nella nostra visione infatti lavorare solo sulla struttura passivamente, qualsiasi sia la tecnica adoperata, produce dei risultati non esaustivi né duraturi; insieme all’hardware, la struttura, bisogna lavorare il software, la funzione.
le verifiche
Un punto cardine del nostro insegnamento sono le verifiche; senza avere idea di dove si trova l’allievo, di come ha integrato concetti e tecniche, è difficile apportare le opportune correzioni di rotta. Il tutto senza cadere nella mistica dell’interrogazione e dell’esame, che produce solo psicodrammi. Allo scopo abbiamo approntato degli strumenti per le verifiche teoriche e pratiche estremamente efficaci, ma soprattutto siamo riusciti finalmente a far passare la nostra visione: non siamo la scuola dell’obbligo, né l’università; l’obiettivo non è passare un’interrogazione o un esame e neanche ottenere un titolo, men che mai adesso in cui all’orizzonte si profila il titolo universitario. L’obiettivo, l’unico, è quello di insegnare, noi professionisti a professionisti più giovani, il nostro mestiere di osteopati.
il programma liquido
In questa nostra visione non esiste più una griglia oraria in cui un tale giorno, in una certa fascia oraria, sarà insegnato quell’argomento. Da noi vige il cosiddetto programma liquido: si comincia con un argomento, lo si verifica, magari il seminario successivo, e non si va avanti se il precedente non è stato sufficientemente capito, assorbito, integrato.
E’ chiaro che esiste un piano didattico generale, per cui al primo anno saranno insegnati Approccio Miofasciale Osteopatico, Trattamento Generale Osteopatico, Tecniche propriocettive.
Negli anni successivi approfondiremo le tecniche strutturali, come quelle in thrust che hanno fatto la fama di Alain Bernard, cominciando nella seconda metà del penultimo anno l’osteopatia viscerale, che continueremo insieme all’osteopatia cranio sacrale nell’ultimo anno.
Ogni insegnamento pratico viene erogato da professionisti che effettivamente mettono alla prova, tutti i giorni nei loro studi, quello che insegnano.
Quanti anni dura la formazione EOP?
A tutt’oggi la nostra formazione si svolge su 5 anni ma, in vista dell’istituzione di un corso di laurea e forti dell’esperienza che stiamo facendo con successo, di passare la maggior parte dell’insegnamento teorico su supporti informatici, quali filmati e slide “parlate”, in un prossimo futuro potremmo decidere di ridurre di un anno.
Rilasciate un diploma?
Alla fine del primo anno viene rilasciato un’attestazione della formazione in Approccio Miofasciale Osteopatico, TGO e tecniche propriocettive; alla fine del quarto un’altra che attesta il percorso fatto in Osteopatia Strutturale (che in omaggio alle vecchie tradizioni definiamo anche CO, Certificato in Osteopatia); alla fine del quinto rilasciamo il DO (sempre secondo la tradizione, Diploma in Osteopatia).
E’ chiaro, come da sempre abbiamo tenuto a sottolineare, che nessuno di questi titoli ha valore abilitante. Per questo motivo, e per non doverci poi arrampicare sugli specchi come la maggior parte delle scuole, abbiamo accettato di formare solo fisioterapisti e medici, che non avessero bisogno poi di una qualche abilitazione (che né noi, né nessun’altra scuola è mai stata in grado di erogare).
Assegnate ECM?
Si, 50 crediti per anno di corso.
Fate parte del ROI?
Il ROI è solo la più vecchia e come tale la più conosciuta tra tutte le altre associazioni – attualmente se ne contano qualche decina – che appunto non sono altro che enti privati che, in maniera del tutto autoreferenziale, “riconoscevano” le proprie scuole ed i propri osteopati.
Saranno tutte obsolete nel momento in cui, alla fine del percorso di riconoscimento (quello vero), gli osteopati entreranno in un albo, probabilmente lo stesso che raggruppa adesso le altre figure sanitarie.
E tutte le associazioni, nonostante ufficialmente si dicano pienamente soddisfatte dei risultati ottenuti, hanno incassato in questo percorso di riconoscimento delle sonore sconfitte, per esempio quando è stata completamente disattesa l’aspettativa che quella in osteopatia venisse istituita come laurea magistrale, di cinque anni per intenderci.
Noi eravamo vicini alle posizioni del ROFI (Registro degli Osteopati Fisioterapisti) associazione che si è battuta, anch’essa senza successo, affinché la formazione accademica in osteopatia fosse la naturale continuazione di quella fisioterapica.
Cosa succederà con l’istituzione di una laurea in osteopatia?
La laurea sarà triennale, e già la prima norma che è stata promulgata, quella che individua il profilo professionale dell’osteopata, non lascia bene sperare, soprattutto nell’articolo 1, che recita:
Art. 1 (Individuazione della figura e del profilo dell’osteopata)
L’osteopata è il professionista sanitario, in possesso di laurea triennale universitaria abilitante o titolo equipollente e dell’iscrizione all’albo professionale, che svolge in via autonoma, o in collaborazione con altre figure sanitarie interventi di prevenzione e mantenimento della salute attraverso il trattamento osteopatico di disfunzioni somatiche non riconducibili a patologie, nell’ambito dell’apparato muscoloscheletrico.
Quindi, secondo norma, un osteopata che non abbia altri titoli abilitanti, si potrà occupare unicamente “di prevenzione e di mantenimento della salute” non di patologie. Quello che poi si intravede all’orizzonte, riguardo al tipo di formazione, è una sorta di controfigura del corso in fisioterapia, al termine del quale i neo laureati, secondo un copione fin troppo conosciuto per le altre professioni sanitarie, dovranno andare in giro per imparare un lavoro.
Per il pregresso, la laurea in osteopatia – per chi a questo punto la vorrà ancora – sarà evidentemente attribuita con un passaggio universitario, più breve e meno costoso per chi avrà pregressi crediti universitari.
Questi ultimi scenari potrebbero essere smentiti dai decreti attuativi prossimi venturi, che riguardano appunto la formazione universitaria ed il riconoscimento del pregresso ma, visto l’inizio, non c’è da essere troppo ottimisti, riguardo a questa legge.